3 Mar 2024 - articoli
In riferimento ai fatti sanguinari in Israele e in Ucraina e alle ripercussioni che stanno avendo sulla nostra vita individuale e sociale, ho pensato che potrebbero esserci di una qualche utilità le riflessioni sulla guerra che nel 1932 si sono scambiati Einstein e Freud su sollecitazione della Società delle Nazioni. Einstein ha inviato una lettera a Freud nella quale avanzava alcune domande. Freud ha risposto alla lettera di Einstein e ha pubblicato queste riflessioni nel 1933 in un breve scritto dal titolo: Perché la guerra?.
Veniamo alle domande di Einstein La prima: c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? La seconda: come è possibile che una minoranza riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo? La terza: come è possibile che la massa si lasci infiammare fino al furore e all’Olocausto di sè?
Come vedete sono le stesse domande che potremmo farci noi oggi e alle quali vorremmo in qualche modo avere degli argomenti per rispondere. Bene, vi riporterò alcune delle riflessioni di Freud, perché ritengo siano ancora oggi valide e illuminanti anche per noi e perché possono esserci utili per non correre il rischio di trasformare la passione e l’interesse che abbiamo per l’argomento che stiamo trattando, cioè l’ambiente e il clima, in una guerra o in una lotta per questi valori.
Dopo avere chiarito il rapporto tra diritto e violenza e di avere condiviso con Einstein la convinzione della funzione determinante, per la soluzione dei conflitti nazionali, di un organismo sovranazionale con poteri decisionali vincolanti per tutti (che è l’ipotesi che ha portato alla creazione dell’ONU, Freud passa a rispondere alle domande del perché sia così facile infiammare gli animi alla guerra.
A questo proposito Freud mette in campo la specificità della scoperta teorica della psicoanalisi, relativa alla teoria delle pulsioni. (Parentesi: questa prospettiva non la dovete prendere come la verità: è una delle prospettive possibili e merita il credito che siete disposti a darle. Per me, in quanto psicanalista, è la prospettiva che mi ha convinto di più ma che però vi offro come mia, ma non intendo imporvela come l’unica vera possibile. Questa teoria individua l’esistenza di un patrimonio pulsionale umano caratterizzato da due forze in contrasto tra di loro: da una parte ci sono delle pulsioni di vita (o pulsioni erotiche con riferimento al concetto filosofico di Eros) che tendono a conservare e unire, e, dall’altra, ci sono le pulsioni che tendono a distruggere e a uccidere (riunite sotto il nome di pulsioni di morte: Eros e Thanatos). La cosa importante che Freud ricava dalla esperienza clinica (non dimenticate che la psicoanalisi non è una riflessione filosofica astratta, ma è un un sapere che deriva da una pratica sperimentale di natura clinica): la cosa importante è che queste due pulsioni non possono esistere come pulsioni pure, ma esistono solo nella forma di un impasto. Per esempio: la passione amorosa rivolta agli oggetti, cioè le persone, necessita di un quid della pulsione di appropriazione se veramente vuole impadronirsi del proprio oggetto. La questione delicata sarà quindi quella di valutare con quale proporzione, e quindi con quale forza, le due pulsioni verranno composte in una data relazione amorosa perché, a certe condizioni, la spinta possessiva potrebbe prevalere e portare alla distruzione, e cioè alla morte, dell’altro perché rifiuta la proposta di amore (pensate ai femminicidi quotidiani dei nostri giorni).
La riflessione di Freud che io ritengo importante è quella che riguarda il rapporto delle persone con i valori ideali, come per esempio il valore di una fede religiosa, quello dei diritti delle persone o, per venire qualcosa che riguarda da vicino i nostri incontri, i valori dell’ambiente. Freud dice di stare molto attenti perché corriamo un rischio: quello di mascherare, sotto il vero dei valori ideali, il pretesto per soddisfare le nostre pulsioni aggressive.
Infatti, possiamo avere guerre di religione per la diffusione della fede ( vedi le crociate di un tempo ma anche le guerre di religione di oggi); guerre per esportare i valori della civiltà e della democrazia; violenze e torture fino al rogo per garantire la purezza della fede (pensate alla Santa Inquisizione), ma anche azioni vandaliche distruttive per proclamare la salvaguardia dell’ambiente e del clima. Molte atrocità della storia, dice Freud, sono lì a dimostrarci che i motivi ideali sono serviti da mero pretesto per le brame di distruzione, cioè per la soddisfazione di pulsioni di morte. Potremmo dire che tutte le forme di fanatismo non sono altro che questo: ideali come pretesti per sfogare passioni distruttive.
(Come fare tesoro di questo avvertimento di Freud nella nostra esperienza individuale di tutti I giorni? Si tratta di vigilare sul valore da attribuire ai nostri ideali per non utilizzarli per disprezzare o, peggio ancora, per emarginare quelli che non la pensano come noi e “non sono bravi e buoni come noi”. Ma è anche importante vigilare sul rischio di imporre agli altri (figli allievi amici) in forma violenta il nostro modo di vedere in nome del fatto che lo facciamo per il loro bene. I valori non si trasmettono imponendoli agli altri ma proponendoli e, soprattutto, testimoniandoli. Nella mia pratica di analista vedo tutti i giorni molte forme di sofferenza nelle relazioni familiari, che hanno alla base dei comportamenti genitoriali motivati dalla buona intenzione del: “lo faccio per il tuo bene”).
A questo punto Freud si concentra nel rispondere Einstein proprio sulla natura delle pulsioni aggressive. La prima cosa che ci dice è che la tendenza della pulsione aggressiva, come di tutte le pulsioni, è quella di scaricarsi verso l’esterno, per colpire, ferire, distruggere oggetti o persone. In questo modo si scarica e produce una sensazione di benessere per l’aggressore. Questo movimento di scarica verso l’esterno è qualcosa di naturale, cioè appartiene alla natura della pulsione, mentre la rinuncia ad aggredire è qualcosa che può nascere solo da una decisione artificiale, cioè è frutto di un lavoro, di uno sforzo . Pensate alla funzione dell’educazione che serve appunto a insegnare al bambino a trattenere la sua reazione rabbiosa di fronte alle frustrazioni, per accettare la regolazione della norma che tutela gli interessi di tutti e non solo quelli legati ai suoi desideri.
Per regolare la pulsione aggressiva, si è sviluppato un’istanza psichica particolare, che è il Super io o coscienza morale, che ha appunto il compito, da una parte, di proibire (non uccidere) e, dall’altra, quella di comandare l’atteggiamento opposto (ama il tuo prossimo, addirittura ama il tuo nemico: questa è la forma nuova del comandamento). Questo proposito non è esente però da costi e da rischi, nel senso che (ve ne parlerò un’altra volta), un uso non adeguato della coscienza può portare, e porta di fatto, a forme di disagio psichico individuale (vedi l’angoscia del senso di colpa) e sociale (vedi la necessità di trovare sempre un colpevole, un capro espiatorio).
La pulsione aggressiva: oltre ad essere la più naturale è anche ineliminabile. La cosa conveniente che si può pensare di fare è quello di capire come farci i conti. Freud propone un antidoto, come lo chiama: è quello di vaccinarci con le pulsioni contrarie, cioè le pulsioni di vita. Come? In due modi: il primo è quello di puntare sullo sviluppo di relazioni di Eros, potremmo chiamarle amorevoli: relazioni guidate dall’ideale che va sotto l’etichetta di amore del prossimo, in tutte le sue sfumature. Dice Freud: “tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini agisce contro la guerra”. L’altro modo è quello di incrementare le forme di identificazione in grado di promuovere sentimenti di solidarietà.
(A proposito dei sentimenti di solidarietà, pensate ad esempio quanto sia stato determinante il pensiero di Darwin in questo senso: che cosa ci ha permesso di fare, non su base emotiva ma su base noetica, conoscitiva? Ci ha permesso di sapere, e quindi di capire, che tra noi tutti non c’è differenze di razza, che tra noi e gli animali c’è una somiglianza forte (pensate che abbiamo il 98% dei geni di uno scimpanzé), che tra noi e l’ambiente c’è un legame stretto di economia per la sopravvivenza. Voi capite che, se riusciamo a sviluppare questo sapere, avremo modo di incrementare i comportamenti di solidarietà con i nostri simili, gli animali, la natura e l’ambiente).
Alle due strategie Freud ne lega una terza, poco considerata: è quella che riguarda la formazione di un gruppo di persone destinate ad assumere ruoli di comando e di guida per la società, noi diremmo oggi, con il nostro linguaggio, la formazione della classe dirigente all’altezza del suo compito. Sentite quali sono le caratteristiche che dovrebbero avere queste persone: 1. persone dotate di indipendenza di pensiero; 2. persone inaccessibili alle intimidazioni e ai ricatti; 3. Persone cultrici della verità.
Riassumendo questo pacchetto di proposte finalizzate a promuovere comportamenti contrari alla guerra e alla distruzione, Freud conclude dicendo che si tratta di “mirare all’obiettivo di creare una comunità umana capace di assoggettare la vita pulsionale alla dittatura della ragione”, del lògos. Non nega di avere la consapevolezza di sapere che si tratta di una speranza utopistica, e che è triste pensare (ascoltate questa bella metafora), “è triste pensare a mulini che macinano talmente adagio che la gente muore di fame prima di ricevere la farina”.
Freud chiude la sua risposta ad Einstein con un’aggiunta riguardante la riflessione circa il perché noi ci indignamo tanto contro la guerra in quanto ci sentiamo pacifisti. Sì, ma perché siamo pacifisti? (se lo siamo). Freud enumera una serie di cause: “perché ogni uomo ha diritto alla propria esistenza; perché la guerra distrugge vite umane piene di promesse, pone i singoli individui in condizioni avvilenti; costringe, contro la propria volontà, a uccidere altri individui; distrugge preziosi valori materiali; rischia di provocare lo sterminio di uno o di entrambi i contendenti“ e, possiamo aggiungere oggi ( perché a suo tempo non c’era ancora la bomba atomica) perché rischia di distruggere molte forme di vita sul pianeta. Va bene, dice Freud, siamo pacifisti per tutte queste ragioni ma soprattutto lo siamo perché “necessitati da ragioni organiche“, cioè lo siamo perché siamo fisiologicamente pacifisti, in conseguenza di tutti i cambiamenti prodotti dal processo di civilizzazione: abbiamo sviluppato una “intolleranza costituzionale“, frutto di una idiosincrasia portata al massimo livello.
Alla fine è Freud che rivolge una domanda a Einstein: “quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti?” E si risponde da solo: “Non si può dirlo ma (sono ancora a parole sue) nel frattempo tutto ciò che favorisce l’incivilimento lavora anche contro la guerra“.
Cosa possa voler dire oggi “lavorare per favorire l’incivilimento” sta a noi deciderlo, con una modalità di dialogo e non di “guerra culturale” come sembra che stiamo facendo.
Sergio Premoli